Una paura senza perché

Le fauci minacciose di un coccodrillo.

Quando nel 1925 Freud si accinse ad una revisione delle sue idee sull’angoscia affrontò con estrema difficoltà la questione della paura ed in particolare si chiese perché nasce e perché si presenta con tanta intensità in alcune situazioni.

L’argomentazione da lui avanzata in Inibizione, sintomo e angoscia può essere riassunta in alcuni punti:

  • il pericolo reale proviene da un oggetto esterno;
  • tutte le volte che l’angoscia riguarda un pericolo che conosciamo, la si può considerare “angoscia reale”;
  • quando invece essa riguarda un pericolo sconosciuto all’Io va considerata come “angoscia nevrotica”.

Inoltre Freud cerca di dare delle risposte alle “enigmatiche fobie” dei bambini, legate per esempio allo stare soli, all’oscurità, alle persone estranee. Le conclusioni a cui egli perviene è che la paura di ciascuna di queste situazioni così comuni vada inizialmente equiparata ad una paura di perdere l’oggetto d’amore, soprattutto per l’impotenza psichica che il bambino mostra di fronte all’insorgere della stimolazione pulsionale. Egli aggiunge che se lo sviluppo del bambino è sano la paura di tali situazioni viene superata: le fobie appena citate, pressoché normali, spariscono perlopiù negli anni successivi, si perdono col tempo. Al contrario, quando lo sviluppo non è sano, queste paure infantili persistono e possono poi presentarsi in adulti nevrotici, che restano infantili nei loro atteggiamenti di fronte al pericolo.

“La paura dell’individuo è provocata dalla grandezza del pericolo o dal venir meno dei legami emozionali (carica libidica); quest’ultimo è il caso della paura nevrotica” (N. Fodor e F. Gaynor, 1957).

Da Freud in poi le teorie dello sviluppo psicologico continuano in modo apparentemente soddisfacente a dare soluzioni, ma nell’essere umano si registra un arresto spesso patologico: sempre più persone entrano in crisi alla minima tensione, regredendo facilmente verso situazioni maligne. Nei bambini si evidenziano quelle enigmatiche fobie di cui parlava Freud, che spesso non spariscono con la crescita, anzi al contrario aumentano e si rinforzano; un ambiente sicuro e protetto sembra non sortire alcun effetto; sempre più madri lamentano figli le cui paure crescono di giorno in giorno e con esse fobie ossessive, lagnanze ipocondriache e attacchi di ansietà.

Se nel bambino una paura naturale e controllata rappresenta una buona reazione che gli permette di essere cauto di fronte ad un pericolo esistente o ragionevolmente prevedibile (al contrario, la mancanza di paura può significare sia l’espressione di ammirevole eroismo, ma anche il segno di un marcato narcisismo che determina cecità verso il mondo esterno e i suoi oggetti), l’eccesso di paura – soprattutto quella facilmente suscitata da situazioni che non sono per nulla pericolose e che non viene lenita facilmente con azioni come stringere un orso di pezza, succhiare il dito, ricevere un rinforzo allettante – fa parte di un quadro giornaliero patologico sempre più generalizzato.

In realtà tutti i bambini sono inclini ad esteriorizzare i propri conflitti interiori conferendo loro la forma di paure verso l’ambiente circostante. Un genitore, per poter operare dei cambiamenti efficaci e duraturi sulle paure che emergono nel proprio figlio, deve essere preparato a comprenderne i conflitti interiori: in questo modo egli scoraggerà non solo l’atteggiamento pauroso ma soprattutto il conflitto sottostante, di solito poco percepito o enormemente svalutato.

Un esempio a questo proposito. Se un bambino si presenta agitato dalla madre, dicendo che nella sua cameretta ha sentito dei rumori, la madre risponde facendogli notare che tutto è a posto e che non c’è nessun motivo per avere paura. La madre analizza la “paura in sé”, cioè quella legata al rumore, di suo figlio ed in lui naturalmente il comportamento pauroso out of control si intensifica, poiché la tensione intima, non percepita e per nulla compresa dalla madre, si rafforza creando una disposizione generale all’angoscia. Al contrario se la madre considerasse la paura del figlio per quella che realmente è, cioè una manifestazione d’angoscia legata ad un conflitto, il comportamento pauroso andrebbe verso una sicura regressione.

Ciò significa che le paure e le angosce vengono compresse dal bambino in un simbolo che le racchiude: esso rappresenta i tanti pericoli lasciati in sospeso dai suoi conflitti interiori. La famiglia, e peggio ancora l’istituzione, non conosce però i codici di significazione di questi simboli fobici. Come ci ricorda Anna Freud, genitori “incolti” utilizzano gli aspetti positivi della paura per indurre i bambini all’obbedienza spaventandoli, mentre genitori “illuminati” cercano di eliminare ogni paura dalla vita dei loro bambini: entrambi questi atteggiamenti non sono d’aiuto per un corretto sviluppo. (A. Freud, 1977). Non si può quindi risolvere questo problema in modo schematico, poiché questo approccio rischia di produrre una semplificazione delle diverse forme evolutive di paure e fobie del bambino o peggio ancora l’assenza di provvedimenti terapeutici: entrambe potranno determinare seri disturbi nello sviluppo infantile.

Le paure e i loro significati

A questo punto è opportuno osservare alcune paure e i loro significati, tenendo ben presente che ogni comportamento fobico, infantile o adulto, ha bisogno del suo contesto di riferimento per essere compreso a fondo e in maniera compiuta.

  • La paura del buio può certo originare dal fatto che un fratello, una sorella, un familiare o un amichetto teme il buio ed è ovvio che nel caso in cui l’isolamento e il buio siano stati adottati come misure punitive è facile che il bambino li associ con qualcosa che fa male o con qualcosa da temere; anche racconti spettrali e fiabe in cui vi sono orribili streghe e giganti possono aver contribuito alla comparsa di questa paura. Ma la paura del buio nel bambino può originare da un insieme di fantasie angoscianti legate a litigi e tensione tra i genitori. O. Fenichel: “Probabilmente molte fobie riguardanti il buio o il crepuscolo, contengono il ricordo di scene capitali” (O. Fenichel, 1951). Nell’età adulta la paura dei dintorni, con relativa perdita dei mezzi usuali d’orientamento, dei rumori uniformi, di cambiare abitudini, l’angoscia della perdita dell’orientamento temporale, le angosce legate all’eternità o alla morte, possono derivare da paure infantili del buio non risolte.
  • Anche la paura dei tuoni può nascere imitando il comportamento di altri, anche adulti. Spesso un genitore dice del figlio: “Ha paura dei temporali con i tuoni, ma penso che sia naturale: ho paura dei tuoni anch’io”; “Ha paura delle tempeste, l’ha presa da me”. In realtà questa paura può nascondere fantasie di terrore verso l’imprevedibilità della natura umana, in particolare quella materna.
  • La paura di andare a scuola assume spesso carattere di fobia. Nel bambino piccolo la fobia della scuola materna è di solito legata alla paura di perdere la madre, mentre il bambino più grandicello, pur nel desiderio di andare a scuola, non comprende l’angoscia che lo attanaglia quando lascia la casa: spesso si dirige verso la scuola e i disturbi neurovegetativi che sopravvengono gli impediscono di proseguire il cammino, talvolta giunge fino in classe e deve fuggire a causa del suo malessere. In altre occasioni, nel corso dell’evoluzione della fobia scolare, egli non osa più lasciare la casa. Questa paura è particolarmente incompresa da genitori e insegnanti, i quali cercano di dominarla con misure autoritarie, del tutto inappropriate poiché sia nel bambino piccolo che nell’adolescente la paura della scuola può nascondere angosce profonde e spesso gravi (S. Lebovici e D. Braunschweig, 1967), che proprio per la loro natura oscillano paurosamente tra due poli antitetici e ambivalenti: perdita dell’amore materno da un lato, assenza di regole paterne dall’altro.
  • La paura di coltelli e forbici spesso disorienta il bambino al punto tale che il toccare o soltanto vedere questi strumenti risveglia in lui una forte angoscia legata a una rigidità di atmosfera familiare o, all’opposto, a una sua totale assenza. In età adulta il temuto pensiero dei coltelli segna la paura di una possibile castrazione ed anche, in molti casi, l’accumulo di aggressività repressa il cui controllo è labile (O. Fenichel, 1951).
  • La paura di strade larghe e aperte può segnare nel bambino l’assenza di limiti e confini, la presenza di regole vuote a lui impartite, non rispettate innanzitutto da chi le emana. In età adulta l’idea di strade aperte nell’agorafobia è, di regola, inconsciamente percepita come un’occasione di avventure sessuali e di tentazioni legate a desideri inconsci, non consapevoli, spesso di carattere sessuale.
  • La “camera temuta” è un luogo in cui il bambino può essere “visto e preso”: essere solo significa essere indifeso contro i poteri punitivi dell’orco. Di solito questa paura segna una situazione minacciosa che il bambino vive nei confronti di un Super-Io primitivo, ricco di minacce e proibizioni immaginarie, spesso frutto di ambienti familiari che tendono a non avere un’igiene psichica rispetto a messaggi televisivi deformi per la psiche del piccolo bambino. La stanza temuta può rappresentare l’utero materno, le sensazioni del proprio corpo, l’interno del proprio corpo. A questa paura si associa spesso la paura di essere morso da un animale: nel piccolo Hans, il significato inconscio della paura di essere morso da un cavallo era un’espressione orale a carattere regressivo, equivalente all’idea di essere castrato dal padre (O. Fenichel, 1951).
  • La paura di finire sotto un veicolo o di cadere da un luogo alto possono rappresentare la punizione, e probabilmente molto spesso la punizione per aver desiderato e immaginato di uccidere. In età adulta invece la stessa fobia di cadere è legata nel profondo al desiderio dell’eccitazione sessuale che, per l’arresto del suo corso naturale, ha acquisito una caratteristica penosa e terrificante.
  • La paura di esser relegati in uno spazio stretto o in strade strette è la paura dell’angoscia vissuta come costrizione e può essere legata a molteplici fattori: un mancato dialogo tra madre e figlio/a, a situazioni familiari vissute in maniera ripetitiva e noiosa, a reiterati litigi, incomprensioni e tensioni genitoriali ed in definitiva ad un’incapacità di trasformazione dei genitori stessi. In età adulta queste paure, spesso amplificate da penose sensazioni vegetative, segnano un blocco dell’eccitazione sessuale.
  • La paura d’impazzire tipica di molti adolescenti può segnare una simultaneità di punizione e tentazione: l’adolescente sente, nel suo timore d’impazzire, l’interferire delle sue esigenze e desideri inconsci, specialmente gli impulsi istintivi (sessuali o aggressivi) efficienti in lui, ma nello stesso tempo ne ha vergogna. A volte l’idea della pazzia ha, inconsciamente, un significato più specifico: l’esperienza può aver formulato l’equazione testa=pene, e dunque pazzia=castrazione (O. Fenichel, 1951). In tal senso, la paura d’impazzire non è che un caso speciale della paura generale della propria eccitazione (O. Fenichel, 1951). Peraltro la diffusa regola che una persona la quale teme d’impazzire, non impazzisca mai, non è affatto vera: molti schizofrenici incipienti sono consapevoli del loro estraneamento sempre maggiore (O. Fenichel, 1951).
  • La paura di avere la testa grossa o di essere idiota può significare nel bambino o nell’adolescente castrazione corporea: spesso i fratelli maggiori odiano i piccini anche perché temono di avere una testa grossa come quella del lattante. Tali atteggiamenti segnano sia l’invidia verso il bambino, sia una punizione anticipata per tale invidia.
  • Aver paura di essere brutti o sudici può avere lo stesso significato della paura della malattia o della pazzia: sentirsi brutti o repellenti, soprattutto negli adolescenti, può significare essere nell’inconscio sessualmente eccitati o irati. Paure di questo genere possono formare uno stato di transizione verso le delusioni. Nelle ragazze, la convinzione di essere repellenti (brutte o fisicamente disadatte, o incapaci ad aver figli) si basa sulla consapevolezza della loro mancanza di un pene, idea connessa col senso di colpa dovuto alla masturbazione e a desideri incestuosi; nei ragazzi, un’angoscia di tal genere segna il timore che possano poi venir scoperte dall’ambiente le terribili conseguenze dell’attività masturbatoria (O. Fenichel, 1951). In età adulta le persone con tali paure sono inconsciamente costrette a far mostra della loro eccitazione sessuale ma temono di essere punite o respinte per questo: convertono perciò questo esibizionismo in un comportamento aggressivo e autoritario. Se poi nell’adulto la paura di esser brutti o maleodoranti è rimpiazzata dalla ferma convinzione che sia effettivamente così, ciò rappresenta uno stato transitorio da cui si possono sviluppare manifestazioni paranoiche.
  • La paura di esser mangiato o di essere morso, che spesso si presenta con angosce visibili (ansia, tremori, sudorazione), può corrispondere ai desideri sadico-orali tipici di bambini che usano un atteggiamento provocatore per ricevere attenzioni: da questi bambini, che aggrediscono duramente con capricci o dispetti l’ambiente familiare proprio per essere al centro dell’attenzione, la paura di non essere compresi viene spesso proiettata su un animale o una bestia feroce da cui temono di essere aggrediti. Se i genitori sono particolarmente rigidi questa paura può nascondere un travestimento dell’angoscia di castrazione, ossia la fantasia inconscia di essere punito-evirato dall’autorità morale di un genitore. In età adulta tale paura è legata per esempio nell’uomo a fantasie patologiche sul sesso della donna, su tutte la paura della cosiddetta “vagina dentata” (O. Fenichel, 1951).
  • Il lavarsi frequente e le fobie connesse alla toilette osservabili nei bambini e nei nevrotici coatti, così come la paura di cadere nel gabinetto o di essere mangiati da un mostro che dovrebbe uscire da lì, o la paura razionalizzata di essere infettati, sottolineano la prevalenza di impulsi sadico-anali non sublimati il cui effetto è un’aggressività incontrollata, distruttiva e quindi sporca che se non compresa si manifesta come vero e proprio persecutore esterno.

Nel bambino – ma anche nell’adolescente e perfino nell’adulto – la sensazione di essere sopraffatto dai propri impulsi si evolve spesso sino ad assumere la forma di reazioni paurose contro il mondo esterno: in realtà tali comportamenti paurosi altro non sono che manifestazioni di angosce legate a conflitti interiori, di cui il genitore non è quasi mai consapevole – e se talvolta lo è, spesso non possiede gli strumenti psicologici adatti per intervenire – finendo inevitabilmente per intensificare gli scambi disarmonici con il proprio figlio.

Riferimenti bibliografici

Fodor, N. – Gaynor, F. (1957). Freud: Dictionary of Psychoanalysis (New York: The Philosophical Library, 1950). Trad. it.: Dizionario di psicoanalisi tratto dalle opere di Sigmund Freud (Feltrinelli, Milano 1967).

Freud, A. (1977). Paure, angosce e fenomeni fobici, in Battistini A. (a cura di), Le nevrosi infantili (Boringhieri, Torino 1983).

Fenichel, O. (1951). The Psychoanalytic Theory of Neurosis (New York: W. W. Norton & Company, 1934). Trad it. Trattato di psicoanalisi (Astrolabio, Roma 1951)

Lebovici, S. – Braunschweig, D. (1967). A proposito della nevrosi infantile, in Battistini A. (a cura di), Le nevrosi infantili (Boringhieri, Torino 1983).

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