La scuola è il primo contenitore sociale che il bambino contatta dopo la famiglia. Come contenitore, secondo la concezione di Didier Anzieu, la scuola deve garantire un involucro le cui funzioni sono di legame e delimitazione della realtà psichica, mentale e fisica. In questo senso essa diventa prima “pelle psichica” (Esther Bick), vista come forza primitiva affettiva che funge da barriera tenendo insieme le varie parti della personalità, poi “pelle mentale” e come tale organizza gli elementi dello psichismo.
La scuola intesa come involucro psichico deve:
- non essere concepita come spazio statico ma dinamico: il bambino intanto apprende in quanto vive chiare relazioni, verticali e centrali con gli insegnanti, orizzontali e laterali con i compagni di classe;
- permettere una giusta sintesi tra contenuto e forma: il bambino intanto apprende in quanto ogni contenuto didattico, educativo e disciplinare è veicolato nella giusta forma;
- essere paragonata ad un campo di forze, come quello sviluppato attorno ad una calamita: il bambino intanto apprende in quanto si sviluppa una sinergetica dell’insegnamento, ovvero tutti i componenti della classe compresi gli insegnanti tendono in un’unica direzione.
Solo in questa concezione la scuola diventa un attrattore, assumendo sia una forma nella quale la forza si trasforma in opera che le caratteristiche strutturali dell’involucro psichico, ossia di quell’abito che naturalmente l’alunno indossa perché lo sente suo.
Ma come ogni abito per essere perfetto va realizzato su misura, anche l’involucro psichico, proprio della scuola, deve garantire all’alunno una forte appartenenza, tramite cui egli deve sentirsi collegato con tutte le parti del sistema scolastico, oltre a un immediato senso di connessione, che naturalmente lo porta a sentire la sua classe come un unico corpo, e infine una reale compatezza, che gli fornisce la sensazione di una classe senza buchi quasi come prosecuzione naturale del seno buono propiziato dalla madre.
Quest’ultima caratteristica é fondamentale in quanto la prima angoscia che si sprigiona nel profondo del bambino, nel suo primo giorno di scuola, è quella dei buchi, degli orifizi che si chiudono male, delle fessure e delle smagliature. Non è difficile capire questa angoscia, di cui spesso non si è consapevoli neanche in fase adulta, che quando è vissuta può esprimersi nella semplicità di un immaginario: è il caso dell’individuo che si trova per la prima volta su una barca e la sua prima sensazione è quella dei buchi presenti sul fondo che “porteranno inevitabilmente” quella barca ad affondare o a riempirsi di acqua.
Per fecondare questa angoscia l’insegnante si deve trasformare in un abile marinaio, declinando in maniera matura le sue competenze e la sua personalità: come centro di riferimento per gli alunni sarà una vera e propria ancora di salvataggio, equilibrando senza grandi sforzi il vissuto interno di quell’angoscia.
L’insegnante capace di garantire un gruppo scolastico compatto, coeso e connesso, permetterà anche di fecondare altri tipi di angoscia: quella di smembramento è la più significativa in quanto il bambino-alunno, in una situazione ignota come il primo giorno di scuola, sente il suo corpo “a brandelli”. È la potenza di questa fantasmatica a sviluppare fobia sociale, ansia di separazione, attacco di panico, mutismo, vuoti di attenzione e di memoria e altri sintomi di primaria importanza in alunni che poi risultano:
- ipersensibili e vulnerabili, altrimenti modernamente considerati “iperattivi”;
- con problemi di controllo degli sfinteri;
- con molti capricci ed eccessiva eccitazione, anch’essi modernamente considerati “iperattivi”;
- che non tendono a reagire agli insegnanti e che non sorridono molto e niente sembra motivarli;
- che piangono moltissimo esprimendo rumorosamente la propria paura;
- che hanno un’espressione assolutamente assente e priva di vita;
- che non si concentrano su niente e nessuno.
Il contenitore scolastico in questo caso deve sviluppare calore, ossia deve essere un vero e proprio sistema psichico, simile a quello descritto da S. Freud nel 1911 quando paragona il sistema psicologico chiuso ad un uovo di uccello che contiene entro il proprio guscio la riserva di cibo: il cui calore è tutto ciò che gli riserva la madre.
Forme di calore garantite dall’insegnante creano all’interno di una classe un clima affettivo fiducioso e ciò permetterà all’alunno di sviluppare una fiducia di base sia verso l’insegnante che verso i compagni. Il clima sarà una valida “misura terapeutica” per curare le tante forme di isterismo ed eccitabilità dell’alunno, il cui Io a causa di una maturità insufficiente non può integrare soluzioni mature.
Le tante forme di calore che un insegnante si accinge ad attuare devono essere ben delimitate da barriere, poiché un contenitore scolastico caldo e protettivo deve possedere una barriera, intesa come bordo che delimita il contenitore, che crea un territorio fisso e che permette agli alunni di sviluppare il pensiero, come sforzo di concentrare l’attenzione su un oggetto, grazie a barriere presenti nel contenitore, accompagnato dal divieto di lasciarsi distrarre da altri oggetti, dalla presenza di pensieri parassiti, dal perdersi in digressioni ed in facili regressioni: pensare infatti significa contornare, accerchiare un campo o un territorio epistemico, segnalare dei cammini all’interno. Sviluppa il pensiero l’alunno che sia stato circondato da un chiaro entourage scolastico che “abbia pensato per lui”: pensare significa “abbracciare una questione”, ma prima di abbracciare bisogna “essere stati abbracciati”.
In ogni caso la presenza di troppe barriere crea contenitori scolastici chiusi, il cui rischio è una forma di relazione congelata tra alunno e insegnante. In questa situazione prevarranno nell’alunno fantasmatiche di attacco e di decostruzione, di scorticamento della pelle, e di fuga verso contenitori aperti e attivi. Se poi le barriere diventano troppo rigide, l’angoscia derivante nell’alunno sarà l’angoscia del claustrum (di essere rinchiuso, prigioniero dei limiti).
L’assenza eccessiva di barriere crea invece contenitori scolastici frammentati la cui angoscia tipica è l’angoscia del perdersi (assenza totale dei punti di riferimento forniti dai limiti), con conseguente stato di depressione, vissuto come perdita dell’oggetto, perdita del contenitore, perdita del desiderio contenuto nel contenitore e fuga alla ricerca di contenitori artificiali, incapaci di sviluppare la funzione psichica di contenere un contenuto.
Un contenitore scolastico deve sviluppare negli alunni sicurezza narcisistica, con assenza totale di stati di indifferenziazione e di fusione allucinatoria e delirante con l’insegnante, deve essere un vero e proprio Io ausiliare che ha la funzione di scudo protettivo e non possedere nessuna condizione ambientale caratterizzata dall’atmosfera “da frigorifero”, deve essere stabile ma flessibile, caldo ma protetto da barriere, aperto ma con saldi limiti. Questa tensione degli opposti fa di ogni contenitore, compreso anche quello scolastico, qualcosa di complesso nella costruzione ma di sicura garanzia nel suo funzionamento intrinseco.