Mio figlio non va bene a scuola

Illustrazione: studente intento sul banco di scuola

Bambini e adolescenti che mostrano un insuccesso scolastico sono sovente vittime di pregiudizi da parte di una istituzione non pronta a capire il problema e ad individuare gli aspetti personali, sia sul piano dell’analisi delle cause, sia sul piano delle indicazioni terapeutiche. Ciò non consente di superare pienamente l’atteggiamento di sbrigativa condanna che insegnanti e genitori solidalmente esprimono nei confronti dello studente: se non va bene a scuola vuol dire che “manca di intelligenza o di volontà”, oppure che “non è portato per lo studio”.

Responsabile del fallimento continua ad essere lo studente, giudicato autoritariamente incapace di adeguarsi alle esigenze della scuola, ricorrendo spesso a spiegazioni di ordine morale (l’insuccesso è dovuto alla pigrizia dell’adolescente) o medico (l’insuccesso è dovuto ad un disturbo organico), o perfino di ordine sociale (l’insuccesso è dovuto alla sola inadeguatezza delle attuali strutture scolastiche).

Sicuramente esiste un altro modo di procedere che fa capo ad una spiegazione “scientifica” e considera la quasi totalità degli insuccessi scolastici legati a disturbi i cui fattori causali variano da carenze socio-culturali – nel senso più ampio del termine – o familiari, ed infine ad una scarsa organizzazione della scuola, o alla sua inadeguatezza ad adattarsi ai bambini e agli adolescenti marginali.

In questo tipo di approccio scientifico l’insuccesso scolastico è considerato alla stregua di un “sintomo” di un qualche “disturbo psichico” di qualsiasi alunno.

I disturbi psichici invocati a spiegare i singoli casi di insuccesso scolastico sono riconducibili a cause molteplici, riferibili a piani di realtà diversi: esperienze negative compiute nella prima infanzia, alterati rapporti con i familiari, ambiente sociale di provenienza povero di stimoli e inadeguato.

Le concezioni psicoanalitiche valorizzano ancora di più l’importanza delle variabili psichiche e il ruolo svolto dall’affettività nella genesi dei disturbi psichici legati all’insuccesso come, per esempio, l’attivarsi nell’alunno di una dimensione depressiva che porta ad un umore gravido di noia e di noiosità e che si riflette sull’attività intellettuale dello stesso, rallentandola, e originando tra l’altro un crescente disinteresse. A ciò si lega spesso un vuoto depressivo che si esprime chiaramente nella difficoltà che prova lo studente a seguire un pensiero in una esposizione, una lettura o un esercizio scolastico.

Questo è solo il comportamento manifesto che l’alunno produce, ma nel profondo della sua personalità questo insuccesso è semplicemente un sintomo le cui cause vanno ricercate altrove. È spesso difficile capire a cosa un comportamento del genere possa essere legato, ma l’occhio clinico esperto individua nella maggior parte di questi casi una forte correlazione tra insuccesso e ansia fobica e/o angoscia di separazione patologica.

È lì il vero problema: non l’insuccesso ma l’ansia o l’angoscia associata bisogna curare in questi ragazzi.

I fattori ansiogeni o i precursori di tale angoscia erano già visibili nella prima infanzia o nell’infanzia stessa, ma il genitore, come spesso anche l’insegnante, non disponendo di codici di significazione per individuare il problema e promuovere una cura in maniera primaria, non è stato in grado di bloccare in tempo il “germe patogeno”.

Lo strascicamento di tali forme patologiche, che spesso nell’evoluzione del bambino o dell’adolescente possono camuffarsi in mille periodi felici, emergono quando il genitore meno se lo aspetta ed è sufficiente una semplice causa scatenante – separazione dei genitori, ansia della madre, assenza del padre, accettazione negata da parte dei coetanei e del gruppo degli amici, rimprovero e/o punizione dell’insegnante – a innescare un comportamento patologico. E l’insuccesso scolastico è uno dei tanti possibili.

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