Mia madre “Donna Ansia”

L'incisione di Albrecht Dürer intitolata "Melencolia I", realizzata nel 1514. Fonte: it.wikipedia.org.

L’incisione di Albrecht Dürer intitolata “Melencolia I”, realizzata nel 1514. Fonte: it.wikipedia.org.

Spesso si pensa che l’aumento catastrofico dell’ansia nelle donne e nelle madri sia legato all’attacco ai valori femminili: l’instabilità della famiglia, la scomparsa della famiglia numerosa, l’invasione tecnologica della casa, i cibi in scatola, l’aborto frequente, la spersonalizzazione della sessualità nell’educazione, l’enfasi educativa molto intellettuale – legata al logos e a danno dell’eros – e il ruolo della donna come salariata nell’industria e come manager nelle professioni.

Faye Pye (1972), analista junghiana, nel suo saggio “Il successo terapeutico nell’analisi di giovani donne” ci spiega indirettamente come queste donne, non risolvendo il loro conflitto interiore – che viaggia tra due opposti psichici in cui da un lato c’è quello che potremmo definire come radicamento in immagini e valori eterni e dall’altro una certa disposizione al mutamento – precipitano con il tempo in varie forme di paure senza limiti tra cui l’ansia è quella più evidente, soprattutto nelle madri.

Queste donne provengono da famiglie equilibrate, in quanto il matrimonio dei genitori è rimasto stabile, e da vari stadi della borghesia. Non hanno mai conosciuto la povertà o la discriminazione sociale. Hanno trascorso l’adolescenza a scuola ed in seguito hanno frequentato un istituto superiore per imparare una professione socialmente apprezzata che poi esercitano. Presentano una storia di vita familiare relativamente chiusa e tradizionale, in cui la madre è stata la protagonista, e si è dedicata solo alla famiglia. Era lei che prendeva tutte le decisioni riguardanti la famiglia e dominava nel rapporto matrimoniale, il padre era spesso introverso, timido e remissivo. Sono state guidate nella vita da una forza interiore ansiosa o – come dice H. Deutsch – da una tendenza intima all’ansia (H. Deutsch, 1977).

Da principio hanno sperimentato il sesso quasi con eroismo, ma non hanno provato profonde emozioni o soddisfazioni, in quanto ossessionate dalla segreta preoccupazione di non essere perfettamente donne, ma soprattutto belle. Sembravano cercare la prova della loro femminilità nel rapporto sessuale. Si sono dedicate ad un ideale di sviluppo e di conferma personale che impedisce il rischio e l’impegno emotivo, ricavandone nient’altro che un profondo senso di vuoto.

Il loro atteggiamento verso il matrimonio e la maternità è stato ansioso: considerati comunque come esperienze da non perdere assolutamente, ma allo stesso tempo come passi che incutono timore, nuove condizioni che implicano schiavitù, sottomissione e perdita dell’individualità.

Anche l’atteggiamento verso la propria professione è stato ansioso: un fatto da non trascurare, ma che non potevano accettare del tutto, per paura di allontanarsi dal matrimonio e dalla maternità.

Sembra che alla fine non abbiano sopportato l’idea d’impegnarsi nei due campi, poiché desiderano realmente un completo adattamento a ciascuno dei due opposti principi separatamente; cioè condurre contemporaneamente due vite differenti. Faye Pye spiega che è come se volessero essere uomo e donna, in una situazione psichica che potrebbe risolversi con la classica scelta alternativa tra matrimonio e carriera. Ma spesso non sono riuscite a risolvere questo conflitto.

Sia nel passato che nel presente, sembrano – almeno apparentemente – non aver vissuto alcun tipo di problematicità, grazie alla libertà dei costumi di una società moderna così generosa di prospettive, ma all’interno di sé sono state letteralmente dominate da un’identità turbata, dalla gravosa disarmonia psichica che deriva da stati d’animo ansiosi, non disgiunti da un crescente senso di intimo isolamento e da una confusione di fini e propositi.

L’intensità del conflitto psichico di questo tipo di donna si rivelerà più chiaramente nel suo ruolo di madre. Certamente alcune donne si sono adattate serenamente al loro ruolo materno e lo trovano ampiamente produttivo e soddisfacente. Altre invece sono diventate madri ansiose, donne psicologicamente infantili e delicate, sempre bisognose di appoggiarsi a qualcuno – prima si appoggiavano alla madre e al padre, oggi al marito – esigono continuamente prove d’affetto ricambiando col solo affetto che sanno dare, che è quello di un bambino, non certo quello di una madre.

Sono rimaste immature anche dopo il matrimonio o dopo aver concepito un figlio, tormentate da paure e da ansie, e spesso lo scopo principale della loro vita sembra essere stato sempre lo stesso: la cura della loro sterilità, soprattutto psichica. Sicuramente una volta madri, per loro è stato ed è difficile allevare i propri figli, perché non possiedono né armonia interiore, né stabilità emotiva, caratteristiche che permettono ad una madre un’idonea comprensione dei processi emotivi del bambino, di gran lunga più utile e benefica di qualsiasi cultura pedagogica e/o psicologica comune.

Queste caratteristiche psichiche deformate sono la vera causa delle reazioni emotive consce e inconsce amplificate che tali madri hanno ai problemi fisici o psichici del bambino: in esse il conflitto non risolto ha determinato paura, la quale oltrepassando certi limiti, è diventata patologica e morbosa, e si è trasformata in ansia.

L’ansia – dice I. Kant – è “un piolo della scala della paura”, così come lo sono l’angoscia, il terrore e lo spavento. Essa è un’emozione indefinita, senza oggetto, anonima, immotivata, laddove la paura è invece sempre uno stato definito e corrispondentemente motivato, riferentesi ad un oggetto o ad una situazione pericolosi, è per l’appunto paura “di qualcosa”.

Nel rapporto con il proprio figlio una madre può passare, senza esserne cosciente, da una paura all’inquietudine, all’ansia ed infine all’angoscia. Tutte queste sono forme accrescitive della paura, relative a qualcosa che si trova nel futuro: le differenze sono semplicemente legate all’intensità del disordine emotivo diffuso, senza un preciso contenuto di pensiero. Inoltre nella trasformazione della paura in ansia giocano un ruolo essenziale certi elementi nuovi o accidentali, spesso definiti “cause scatenanti” – una notizia, un pericolo esterno, un avvenimento non padroneggiabile, un affetto deluso, una malattia improvvisa, la morte di qualcuno, un fallimento sociale – che agiscono da veri e propri fattori di vulnerabilità, accelerando il precipizio della paura nei suoi derivati più distruttivi.

Se il conflitto ansioso si radica all’interno della personalità della madre, la fa oscillare vorticosamente tra due poli opposti di difficile integrazione (in gergo si chiama “angoscia della non-integrazione”): voler diventare madre e aver paura del parto e della morte, desiderare la nascita di un figlio ma aver paura di perderlo, dare al proprio figlio il meglio per la sua crescita e non sapersi separare da lui. In queste madri ansiose, che quasi sempre non sanno di essere tali, prevarrà inoltre un rapporto ambivalente con il figlio, fatto di sollecitudine affettuosa verso di lui e bisogno estremo di saperlo sempre vicino, dolorosa nostalgia ad ogni sua separazione e angoscia intollerabile, timore per la sua salute psico-fisica e veri stati d’ansia e fobia (H. Deutsch, 1977).

L’analisi di queste madri mostra che esse sono madri iperansiose: quanto più è forte la predisposizione ansiosa della madre, tanto più flebile sarà la sua capacità di tollerare la separazione dal figlio. Queste madri tendono ad essere eccessivamente preoccupate quando il figlio si allontana di pochi passi e gli danno spesso occhiate ansiose, lo prendono in braccio o lo trascinano vicino a sé se il bambino gli vola accanto, urlano se il figlio bisticcia con gli altri bambini, per coprirlo poi di baci furiosi se si mette a piangere: è facile capire che questa forma esagerata di dedizione serve a placare una forte disarmonia interiore, di cui queste madri non riescono a prendere coscienza. Una madre iperansiosa si comporta come se il figlio, che si allontana per giocare, sia minacciato da qualche pericolo e debba essere difeso da qualche disgrazia. Per un osservatore obiettivo, la paura della madre è assolutamente esagerata, perché in realtà non c’è ombra di pericolo: “La madre è costretta a proteggerlo da se stessa, a premunirlo contro se stessa” (S. Rado, 1928).

H. Deutsch spiega che una madre iperprotegge suo figlio perché “può darsi che in tutte le madri ansiose esista anche un tanto di ostilità rimossa verso il figlio; forse non esiste alcuna relazione umana, neppure quella tra madre e figlio, scevra d’impulsi di tal genere; ma la tendenza all’ansia nasce dal profondo bisogno di conservare la propria unità con il figlio, e il meccanismo reattivo agisce attraverso il grande amore per il figlio stesso, che non permette all’odio di manifestarsi se non per mezzo di una ipercompensazione, che genera nuovo amore” (H. Deutsch, 1977).

Il quadro si complica quando il conflitto ansioso, con i conseguenti terrori interni, è controllato dalla madre stessa, rigidamente, per mezzo di tecniche isteriche o, peggio ancora, ossessive.

Quando è prevalente l’aspetto isterico ed infantile, la madre non si comporta in modo ipocondriaco e anzi è affettuosa e premurosa se il figlio sta vicino a lei, mentre cade in uno stato di profonda ansia se solo il figlio si allontana ed esce dal suo raggio visivo. È la tipica madre che tende a non guidare il figlio alla ricerca dell’estraneo perché in continua apprensione per il suo allontanamento esplorativo: è esclusivamente attenta all’ambiente esterno piuttosto che all’esperienza soggettiva del bambino, vive la relazione con suo figlio in una forma di isolamento egosintonico, cronico ed insopportabile.

Al contrario, le madri ossessive provano meno questo tipo di ansia: nel rapporto con il figlio mostrano freddezza emozionale e il calore affettivo viene sostituito da una educazione molto rigida e scrupolosa, che tende alla perfezione sia da parte della madre che da parte del figlio. L’atteggiamento ansioso di questo tipo di madre verso il figlio è spesso inconsapevole e crea in lei comportamenti patologici: inespressiva quando nutre il figlio, l’accudisce o lo fa addormentare, è pronta a proporre suoni artificiali (carillon, suoni elettronici) piuttosto che la sua voce; quando gioca usa maniere ripetitive e stereotipate, si rivolge al bambino con una frequenza di comandi, tiene d’occhio continuamente ogni sintomo di malattia del figlio per poi curarlo ossessivamente, trascura o ha paura di ogni forma di intimità con suo figlio, ha comportamenti esagerati e rigidi di fronte alle richieste del figlio.

Spesso coniugi e parenti vicini a queste donne “cronicamente ansiose” su base isterica o ossessiva:

  • si sentono quasi travolti, e di conseguenza spinti a fare qualcosa per portare loro sollievo;
  • sono sconvolti dai sintomi derivanti dall’ansia, e alla fine ne restano contagiati nel loro equilibrio emotivo;
  • istintivamente le rassicurano eccessivamente, pensando che protezione e sicurezza sia la giusta risoluzione per alleviare il più rapidamente possibile il loro stato patologico;
  • tendono a banalizzare le situazioni ansiogene che queste donne presentano, facendole rientrare nei classici fenomeni di distress.

A queste donne i farmaci ansiolitici dovrebbero essere prescritti con cautela a causa del rischio di dipendenza, mentre una psicoterapia favorirebbe lo sviluppo di un senso di sicurezza nelle proprie capacità di tollerare e ridurre l’ansia, soprattutto quando il terapeuta è capace di formulare l’esperienza affettiva della paziente e di dare parola, senso e significato a molti dei suoi stati affettivi precedentemente non definiti (Stern, 1997).

Scrive M. Khan (1979):

Non sarà mai abbastanza sottolineato il ruolo essenziale svolto dalla madre nella scoperta che il bambino fa delle sue pulsioni, delle capacità dell’Io e del proprio corpo come oggetto, così come degli oggetti esterni al Sé (Kris, 1951). Perciò la qualità dell’influenza delle cure materne ha una conseguenza davvero fatale per il modo in cui le possibilità innate dell’infante si differenzieranno in effettive capacità e funzioni (Greenacre, 1960; Winnicott, 1960; A. Freud, 1953). La personalità della madre ha una parte decisiva e lascia una impronta su “i procedimenti attraverso i quali il piccolo corpo infantile crea per sé stesso l’inizio di una mente” (A. Freud, 1953).

Infine Winnicott (1948), citato dallo stesso M. Khan, ci lascia un’affermazione quanto mai esplicita a proposito dei bambini la cui affettività e il cui sviluppo psicosessuale sono stati disturbati e deformati dalla patologia ansiosa o depressiva della madre:

Si vedrà come questi bambini, nei casi estremi, abbiano un compito che non potranno mai assolvere. Devono prima di tutto affrontare l’umore della madre: riuscire in questo compito significa soltanto riuscire a creare un’atmosfera in cui poter cominciare una propria vita.

Riferimenti bibliografici

Deutsch, H. (1977). The Psychology of Woman, A Psychoanalytic Interpretation. 2: Motherhood (New York: Grune & Stratton, 1945). Trad. it.: Psicologia della donna. Studio psicoanalitico. Vol. 2: La donna adulta e madre (Boringhieri, Torino 1977).

Rado, S. (1928). An Anxious Mother: A Contribution to the Analysis of the Ego (Int. J. Psyco-Anal., Vol.9.).

Stern, D. B. (1997). Unformulated Experience: From Dissociation to Imagination in Psychoanalysis (Analytic Press, Hillsdale, NJ).

Khan, M. M. R. (1979). Alienation in Perversions (London: Hogarth Press, 1979). Trad. it.: Le figure della perversione (Bollati Boringhieri, Torino 1979).

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