L’Io infantile delinquente e i suoi alibi

Come si comporta un ragazzo quando è violento, aggressivo, quando ruba o distrugge un oggetto ad un altro? Quali sono le tecniche che usa per giustificare il suo atto?

Sono tante le difese che il ragazzo può utilizzare per nascondere agli altri i suoi impulsi aggressivi, soprattutto quando questi si trasformano in vere e proprie azioni antisociali, e spesso somigliano molto agli alibi con cui i delinquenti cercano di dimostrare la propria estraneità a un fatto quando vengono sottoposti ad un interrogatorio stringente: si tratta di “deliri sistematici” inventati dai ragazzi per tener testa, per così dire, alle domande della loro stessa coscienza morale, ove questa sia ancora integra.

Esattamente come le difese contro l’angoscia messe in atto da un individuo non fanno altro che dimostrare l’esistenza di qualcosa da cui occorre difendersi, gli alibi-scuse-pretesti di cui i nostri ragazzi, spesso bambini, hanno bisogno per evitare di “star male per quello che hanno fatto” sono la prova al tempo stesso dell’abilità del loro Io nel tenere lontani i sensi di colpa: a volte il ricorso a simili espedienti di evasione costituisce l’unica prova tangibile dell’esistenza di qualche valore sano, in quanto proprio per metterli a tacere si è dovuto inventare tutto quel complesso ingranaggio.

Le tecniche più usate dai ragazzi sono quelle di “evasione dai sensi di colpa“.

Alcuni posseggono l’invidiabile capacità di rimuovere, o di vivere un improvviso “blocco” quando sono “sottoposti a un interrogatorio stringente” (rimozione della propria intenzione).

Altri cercano di discolparsi scaricando la colpa su qualcun altro, soprattutto perché è stato questo qualcun altro a cominciare per primo e ciò costituisce la condizione per non doversi sentire in colpa per qualcosa che si è fatto: “È stato lui a cominciare!”. A volte la voce della coscienza può essere messa a tacere dal pensiero che l’atto che provoca il senso di colpa – inizialmente soltanto una debole intenzione – è stato compiuto soltanto dopo che qualcun altro lo aveva a sua volta compiuto apertamente. Sembra assodato che, almeno “ad uso interno”, la priorità della colpa di qualcun altro serve benissimo ad esonerare dal sentirsi in colpa.

Alcuni giustificano l’atto violento dicendo: “Fanno tutti così!”. Spesso sono ragazzi che rispondono con calore: “Non c’è un solo ragazzo nel mio quartiere che non rubi: tutti rubano prima o poi, anche lei. Ci scommetto! Anche i preti rubano.” È un meccanismo estramamente diffuso tra “peccatori adulti”, una scusa che si sente spesso portare a propria difesa anche da persone per altri versi onestissime: ad esempio persone che non si sognerebbero di rubare un centesimo ad un loro simile scoprono che il loro senso morale vacilla all’idea che una certa cosa è abituale nel mondo degli affari, oppure – senza spingersi fino al furto – comportamenti, peraltro molto “italiani”, come insozzare aree e beni pubblici o parcheggiare in doppia fila, diventano tacita regola al verificarsi di un precedente minimo. Questo tipo di logica sintomatica è molto diffusa perché in essa avviene quella che M. Klein definisce identificazione adesiva, il cui effetto visibile è una imitazione automatica.

Altri ragazzi giustificano l’atto aggressivo dicendo: “C’eravamo di mezzo tutti quanti!”. E in una logica gruppale è facile sentire frasi evasive del tipo: “Ecco, c’eravamo tutti, e lei viene a dirlo a me! Perché deve dare la colpa a me?”. Certe azioni, che un ragazzo non potrebbe mai permettersi di compiere senza provare in seguito un forte senso di colpa, se invece fanno parte di una impresa collettiva egli può compierle a cuor leggero senza provare il minimo fastidio. È come se l’Io del ragazzo usasse il fatto stesso che tante persone vi erano implicate come fattore per alleviare il proprio senso di colpa. Questa straordinaria medicina fuori posto che è lo spirito del gruppo, il senso del noi, in questo caso mostra gravi controindicazioni, essendo in realtà proprio l’antitesi dello spirito di gruppo, che W. R. Bion rappresenta con l’espressione tipica di un gruppo smembrato: “Siamo tutti sulla stessa barca”. In questo caso il gruppo è abilmente utilizzato per tacitare le esigenze del Super-Io individuale.

Altri ancora giustificano l’atto aggressivo dicendo: “Ma hanno fatto la stessa cosa a me!”. Essi cercano per esempio di dimostrare che il loro furto era giustificato, perché “anche a loro avevano rubato dei soldi tempo fa”. Non occorre aggiungere che solo un Io molto primitivo può riuscire a farla franca con un trucco del genere.

Alcuni si difendono da un atto violento dicendo: “Se lo meritava!”. Quando usano questa argomentazione i ragazzi intendono dire di solito che il loro comportamento, per il lato delinquenziale del quale potrebbero essere costretti a sentirsi in colpa, è stato motivato in primo luogo dalla vendetta, che, sacrosanta, dovrebbe giustificare tutto.

Altri usano giustificare l’atto aggressivo dicendo: “Se non l’avessi fatto avrei perso la faccia!”. Questo avviene soprattutto nella preadolescenza e nella prima adolescenza, periodi in cui lo status all’interno del proprio gruppo assume una tale importanza da giustificare pretesti del genere.

Per certi ragazzi il senso di colpa sembra dover dipendere dal fatto che il ricavato delle loro azioni venga effettivamente consumato e goduto. Essi dicono: “Ma io non ho tenuto il ricavato!”. Questa è una grande astuzia, perché offre all’Io delinquente un’ottima via d’uscita: basta evitare di usare o di godere il risultato della cattiva azione e la coscienza non potrà avere più nulla da ridire. Molti ragazzi sostengono in tutta convinzione che il loro comportamento è ineccepibile perché avevano regalato, rotto, nascosto, perduto o gettato via il bottino.

Un trucco, analogo al precedente, usato dall’Io del ragazzo violento è quello di dire: “Ma dopo ho fatto pace!”. Molti ragazzi fanno ricorso a questo espediente ancora una volta perché così si sentono liberi da ogni colpa.

Anche la possibilità di disprezzare la vittima diminuisce il senso di colpa. Per esempio alcuni ragazzi ladruncoli tendono a considerare un’ottima scusante per il loro gesto, il fatto che il derubato sia egli stesso “nient’altro che uno sporco ladro” e cioè un tipo spregevole.

In altri casi i ragazzi agiscono in base al seguente assunto: se solo riusciamo a dimostrare che il mondo è contro di noi, allora anche i sensi di colpa sono ignorati. L’espressione di tutto ciò non può che essere: “L’ho fatto perché ce l’hanno tutti con me, nessuno mi vuole bene, mi fanno continuamente dei dispetti!”.

Non di rado il clinico rimane sbalordito dalle abilità sopradescritte e da tante altre forme che i ragazzi scovano per giustificare le loro azioni delinquenziali. Si può comunque dire che essi sono affetti da una patologia e la cura delle forti tendenze sadiche sarà il primo presupposto indispensabile per ridurre gli impulsi delinquenziali. In ogni caso non si può prescindere dalle forme disponibili di sostegno psicologico alla delinquenza infantile se l’obiettivo dell’integrazione nell’ambito della società è riconosciuto di primaria importanza. Di questo parleremo nel prossimo post.

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