L’insegnante e il suo alunno

La psicoanalisi dei bambini ha permesso all’insegnante di comprendere:

  • i primi stadi dell’organizzazione della personalità infantile;
  • la genesi e l’organizzazione dei fantasmi infantili;
  • il passato e le forze operanti nel corso dello sviluppo del bambino;

e soprattutto:

  • il significato del gioco, che è stato considerato dalla psicoanalisi la via maestra per penetrare nell’organizzazione profonda dei primi rudimenti della personalità.

Un insegnante che usa il gioco come prassi educativa per il suo alunno permette a quest’ultimo di superare forme di immaturità e di dipendenza, fornisce una forma di sostegno tramite la quale l’alunno può superare forme di angoscia grazie a processi di con-vivenza ed empatia, vissuti dalla stessa insegnante nell’interazione con il proprio alunno.

La Klein esaltò l’applicazione del gioco infantile non soltanto nei trattamenti precoci ma anche in età più tarda: si tratta essenzialmente di giochi con piccoli oggetti a valore rappresentativo. L’inibizione del gioco ha lo stesso valore dell’inibizione intellettuale nell’adulto.

Per A. Freud il gioco non rappresenta l’unico approccio possibile. Spesso è, come ha scritto Glover, una modalità di espressione e di spiegazione troppo simbolica che rischia di diventare rigida: bisogna conquistare i bambini all’idea di farsi educare, si deve ottenere la loro alleanza, e non solo sedurli con giochi divertenti.

Sicuramente una sintesi tra le due posizioni è segno di grande equilibrio nella comprensione della psiche infantile e del rapporto insegnante-alunno.

Quello che lega un alunno al proprio insegnante è un rapporto transferale: ossia l’alunno produce affetti potenti che richiamano quelli vissuti nella prima infanzia, soprattutto con la madre. Questi affetti possono assumere la forma di sentimenti specifici nei confronti dell’insegnante: per esempio un intenso amore perché l’insegnante è colei che aiuta, o un’amara inimicizia perché l’insegnante è colei che punisce.

Ma il problema diventa più complicato quando l’affetto dell’alunno è in contraddizione con quanto accade nella sua vita scolastica: per esempio quando un alunno non sopporta l’insegnante che lo aiuta, o la ama perché questa gli impone una restrizione incresciosa. L’alunno in questo caso fraintende il presente in termini del passato; e così rivive il passato, invece di ricordarlo, e trasferisce sul presente atteggiamenti passati vissuti nella sua infanzia. Da questo atteggiamento deformato possono derivare conflitti infantili, sintomi, ma soprattutto atteggiamenti sfavorevoli all’apprendimento.

Considerare il rapporto transferale tra insegnante ed alunno ci permette di osservare nell’alunno:

  • movimenti e manifestazioni pulsionali nelle diverse fasi dello sviluppo ed eventuali regressioni: in altre parole la motivazione dell’alunno ad apprendere e i suoi momenti di crisi;
  • le modalità di espressione dell’aggressività di cui l’alunno dispone, la loro presenza o assenza, la loro direzione: sia che l’aggressività investa il mondo esterno sia che investa il soggetto in movimenti masochistici più o meno esteriorizzati;
  • gli eventuali incidenti dell’organizzazione dell’Io in certe situazioni cruciali: compiti in classe, esami, note negative, eccetera.

In ultima analisi l’insegnante che interviene con il gioco o che osserva profondamente il rapporto con il suo alunno, ne riduce le tensioni, promuovendo un apprendimento dinamico ed equilibrato.

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