Il figlio attaccato alla gonna

I primi rapporti madre-figlio possono essere decisivi nella strutturazione di alcuni schemi di funzionamento psichico, per esempio nella dipendenza del bambino dalla madre.

Una madre “abbastanza buona” vive un sentimento di fusione con il figlio nelle prime settimane dopo il parto. Tuttavia, come sottolineava lo stesso Winnicott, se questo atteggiamento fusionale si protrae oltre tale periodo, l’interazione diviene persecutoria e patologica per il piccolo.

Quando sono completamente dipendenti dalla madre, i neonati tendono a conformarsi a tutto ciò che viene proiettato su di loro. In un bambino di quella età, la motricità, la vivacità emotiva, l’intelligenza, la sensualità, e il desiderio corporeo possono svilupparsi solo nella misura in cui la madre stessa investe questi aspetti in modo positivo; con la stessa facilità, la madre può inibire la crescita evolutiva e narcisistica di questi aspetti nella struttura del figlio, soprattutto se quest’ultimo funge da palliativo ai bisogni inappagati del mondo interno della propria madre.

La crescita di quella che Winnicott (1951) definisce la “capacità di essere soli” (cioè soli anche quando si ha la madre accanto) può risultare danneggiata, cosicché il piccolo cercherà continuamente la presenza della madre per far fronte a qualsiasi esperienza affettiva, indipendentemente dal fatto che provenga dal mondo psicologico interno o dall’ambiente esterno, e la madre per via delle sue angosce, dei timori e dei desideri inconsci che le sono propri, trasmetterà al suo piccolo quello che potremmo definire un rapporto dipendente dalla sua presenza e dalle cure che gli prodiga.

In un certo senso, è la madre ad essere in uno stato di dipendenza rispetto al neonato.

Di conseguenza si verificherà il rischio potenziale che il bambino non riesca a rappresentarsi una figura materna amorosa e scorrevole. Incapace di identificarsi con questa rappresentazione interna, il bambino non riesce a calmarsi e ad avere cura di sé nei momenti di tensione interna o esterna. Una possibile soluzione alla mancanza di una relazione oggettuale materna verrà inevitabilmente cercata nel mondo esterno.

In età più adulta lo stesso bambino userà droghe, alcool, cibo, tabacco, usati per lenire le sofferenze di alcuni stati mentali, che assumono quella funzione materna che l’individuo non è in grado di svolgere per proprio conto. Questi oggetti di dipendenza prendono il posto di quegli oggetti transizionali dell’infanzia che incarnavano l’ambiente materno e contemporaneamente liberavano il bambino dalla dipendenza totale nei confronti della presenza della madre.

Contrariamente agli oggetti transizionali, gli oggetti da cui si dipende non possono ottenere alcun risultato, in quanto rappresentano tentativi somatici, più che psicologici, di fronteggiare l’assenza e forniscono quindi un sollievo solo momentaneo. Sono oggetti “transitori” e allucinatori del desiderio materno.

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