Nudo senza nido: il disegno del bambino disagiato

"Madre con bambino malato" di Pablo Picasso (1903), Museu Picasso di Barcellona.

“Madre con bambino malato” di Pablo Picasso (1903), Museu Picasso, Barcellona.

“Ogni bambino ha diritto ad una buona famiglia in cui crescere e niente, se non una disgrazia,
può privarlo di questo diritto.”
(Donald W. Winnicott, 1986)

Chi è il bambino disagiato?

Il bambino disagiato è colui a cui è stata sottratta l’unità della famiglia o una parte di essa. Gli è stata negata totalmente o in parte una sicurezza di cui egli non può assolutamente fare a meno e di cui non può essere privato senza che ciò interferisca con il suo sviluppo emozionale e gli causi un impoverimento della personalità e del carattere.

La perdita di alcuni punti di riferimento o dell’intera famiglia non sono i veri problemi per il bambino disagiato: il disagio deriva non dalla perdita in sé, ma dal suo verificarsi in una fase cruciale dello sviluppo emozionale in cui non può aver luogo una reazione matura alla situazione traumatica. Nei fatti l’Io immaturo del bambino non è capace di lutto: non è possibile per lui che non ha raggiunto un certo grado di maturità conformarsi alla complessità di un processo che comporta situazioni di perdita, abbandono e separazione. In tutto ciò è proprio il suo sviluppo emozionale ad essere compromesso, e soprattutto la sua capacità di amare da cui possono derivare, nella fase adolescenziale e adulta, condotte antisociali e delinquenziali o comportamenti psichici deviati.

Tra le varie ricerche svolte a questo riguardo si può citare un’indagine condotta da John Bowlby e Donald W. Winnicott presso le Child Guidance Clinic di Londra, centri destinati alla psicodiagnosi e alla psicoterapia infantile. Essa dimostra che un importante fattore esterno nel determinarsi di una delinquenza persistente risiede nella separazione prolungata di un bambino piccolo dalla madre. Su un campione statisticamente valido di casi esaminati, più della metà avevano subito nei primi cinque anni di vita periodi di separazione dalla madre e dall’ambiente familiare della durata di sei mesi ed oltre. Sia Bowlby che Winnicott scriveranno una lettera al British Medical Journal evidenziando che i bambini piccoli separati dalle madri, di età compresa tra i due e i cinque anni, mostravano problemi psicologici di notevole importanza (D. W. Winnicott, 1986).

Continua Winnicott:

“È senz’altro possibile che un bambino di qualsiasi età si senta triste e turbato se è abbandonato o, addirittura, deve lasciare la sua casa, ma ciò che si vuole sottolineare è che nel caso di un bambino piccolo una tale prova può significare molto più di una concreta esperienza di tristezza.”
(D. W. Winnicott, 1986)

In effetti tale situazione può determinare un black-out corporeo ed emozionale, e condurre ad un grave disturbo dello sviluppo della personalità, che può persistere per tutta la vita: bambini orfani, senza casa, bambini vittime della guerra, sfollati, emigrati, affidati, adottati si configurano già come tragedie.

Dobbiamo, quindi, comprendere che più è piccolo il bambino, maggiore è il pericolo che si corre nel separarlo dalla madre, ossia in esso è minore la capacità di conservare in sé stesso l’idea di una persona viva. Se questo bambino non vede o non ha una prova tangibile dell’esistenza della madre entro n minuti, ore o giorni, la considererà morta a tutti gli effetti, e nel contempo sedimenterà al proprio interno uno stato depressivo. Questo meccanismo psicologico è così vero che molti individui depressi, a qualsiasi età appartengano, si caratterizzano per il fatto di avere difficoltà nel tener viva l’idea delle persone che amano, forse anche quando vivono nella stessa stanza con loro.

Winnicott ci ricorda che il bambino disagiato o, come lui lo definisce, “deprivato” è una persona malata psichicamente, una persona la cui storia passata è stata tutta un’esperienza traumatica e che ha un modo personale di far fronte alle angosce insorte, ma è anche una persona con una capacità di recupero più o meno grande, a seconda del grado di perdita e dell’età in cui le è venuto a mancare un ambiente sufficientemente buono.

Seguendo l’idea winnicottiana, diremo innanzitutto che un bambino sottoposto a deprivazione subisce una rottura della continuità delle cure di cui egli ha maggiormente bisogno e che la deprivazione si presenta come fallimento delle prime provvidenze fondamentali dell’ambiente o, peggio, racchiude situazioni in cui le provvidenze ambientali dapprima presenti vengono improvvisamente meno. In quest’ultimo caso sottraendo cure al bambino che ha già raggiunto un buon grado di organizzazione dell’Io lo si rende incapace di formarsi un ambiente interno, che gli permetta di diventare indipendente. Winnicott conclude dicendo che la deprivazione non conduce alla psicosi, bensì allo sviluppo nell’individuo di una tendenza antisociale (D. W. Winnicott, 1986).

Infatti i classici sintomi di un bambino disagiato sono riconducibili a:

  • avidità e voracità (quest’ultimo è da considerarsi un precursore del furto);
  • tendenze antisociali ed alla delinquenza;
  • tendenza alla fuga;
  • atteggiamenti di chiusura, con l’autoesclusione dalle relazioni con altre persone;
  • gelosia e litigiosità;
  • iperattività e aggressività;
  • stati alterni di euforia e depressione.

Vediamo ora di analizzare il contesto impoverito di un bambino disagiato. In esso un genitore, una coppia, una famiglia, o la stessa comunità non riescono a prendersi cura del bambino in maniera adeguata.

Nello specifico diremo che:

  • una madre inaffidabile (spesso caotica, depressa, ansiosa, violenta, immatura, capace di abbandonare);
  • un padre inaffidabile (spesso assente, alcolizzato, drogato, violento, incapace di garantire la sopravvivenza familiare, capace di abbandonare);
  • una coppia inaffidabile (spesso ostile, assente, incapace di amarsi, caotica);
  • una comunità inaffidabile (spesso non centrata sul disturbo infantile da risolvere, disagiata o disorganizzata);

sono i peggiori fattori di vulnerabilità conosciuti che comportano gravi conseguenze nel bambino o nell’adolescente.

Nel disegno infantile si nota spesso una differenza tra bambini cresciuti in ambienti normali e quelli cresciuti in ambienti deprivati. Già nella leggibilità del disegno si nota in genere che il bambino che proviene da un ambiente normale tende a produrre forme armoniose, vivaci ed equilibrate, a disegnare figure umane la cui espressione è valorizzata e curata, laddove il bambino che proviene da un ambiente deprivato disegna scene familiari con sgorbi illeggibili, spesso maldestri o molto naïf.

Il disegno del “bambino normale”

Il bambino normale è colui che appartiene ad una famiglia integrata. I membri di una coppia genitoriale si assumono insieme la responsabilità della crescita dei figli. Il bambino non si limita a mangiare, a crescere e a sorridere dolcemente: grazie alla fiducia che nutre in entrambi i genitori, supera tutti gli ostacoli che gli si presentano. È un bambino a cui è stata data una cornice ambientale continua, coerente e stabile che gli permette di sentirsi libero, di giocare, di disegnare, di essere senza alcuna responsabilità. Inoltre, vivendo in un’atmosfera di amore e di fermezza (e quindi di tolleranza), non si dimostra eccessivamente timoroso dei suoi pensieri e delle sue immaginazioni, procedendo così libero nel suo sviluppo emozionale.

Rita, 12 anni, disegna la sua famiglia

Rita, 12 anni, disegna la sua famiglia.

Rita disegna la sua famiglia in modo felice. Il clima emotivo della famiglia lo interpretiamo come buono perché la ragazza all’interno del disegno presenta tutti i membri della famiglia e li valorizza. Inoltre riempie il foglio (= ambiente) con oggetti (mare, uccelli, sole, casa, ecc.) e usa colori vivaci (rosso, verde, celeste, arancione, ecc.). Rita presenta la famiglia come sede di scambi emozionali: i valori che vengono scambiati sono amore (il padre abbraccia la madre, i bambini sono vicini ai genitori) e felicità (espressa dalla completezza del paesaggio: mare, sole, tramonto, onde).

Dettaglio del disegno della famiglia di Rita, 12 anni.

Dettaglio del disegno della famiglia di Rita, 12 anni.

In questa famiglia l’intero processo di distribuzione delle gratificazioni è governato dai genitori che sono raffigurati uniti e non distanti. Si può ben dire che quando i genitori si amano reciprocamente, il bambino li ama entrambi; al contrario, quando i genitori si odiano, il bambino è costretto a prendere posizione per l’uno contro l’altro.

Inoltre, in questo disegno i rapporti tra identità individuale e identità familiare sono caratterizzati dal delicato intreccio di processi di fusione e differenziazione: la ragazza va identificandosi sempre più con la madre, il bambino lo sta facendo col padre. Quindi non sono presenti deficit identificatori e il ruolo sessuale dei figli è ben garantito.

Il disegno del “bambino disagiato”

Si è detto in precedenza che il bambino disagiato proviene spesso da una famiglia che lo respinge ancor prima che egli abbia l’idea di una cornice ambientale come parte della sua propria natura. È un bambino che scoprendo che la cornice della sua vita è spezzata, non si sente più libero, anzi diventa ansioso e, qualora nutra ancora qualche speranza, si metterà ben presto a cercare tale cornice lontano dalla propria casa.

Anonimo ragazzo ruandese disegna la sua famiglia

Anonimo ragazzo ruandese disegna la sua famiglia.

Anonimo ragazzo ruandese disegna la sua famiglia

Un altro ragazzo ruandese disegna la sua famiglia.

I disegnatori sono entrambi ragazzi ruandesi che frequentano istituti sociali a causa della precarietà delle loro famiglie di appartenenza. Nel modo di disegnare sembra che entrambi abbiano neutralizzato ogni forma di angoscia infantile (angoscia di contagio, di separazione, di castrazione, angoscia dell’estraneo e per la perdita dell’amore, ecc.), ma in realtà è probabile che semplicemente manchi colui che dovrebbe avere il compito di contenerla: l’oggetto primario di riferimento. Per meglio spiegare questo meccanismo diremo che un vasto campo d’azione di forze distruttive è all’interno della personalità di questi ragazzi, ma l’ambiente è così impoverito che anche drammatizzare queste forze distruttive sotto forma di affetti risulterebbe per loro inutile e inascoltato: vivono in un “mondo sordo”.

Dettagli del "Disegno della famiglia"  nei due ragazzi ruandesi

Dettagli del “disegno della famiglia” dei due ragazzi ruandesi.

Sotto questa luce, l’esperienza di questi ragazzi si potrebbe considerare fortemente traumatica perché, come suggerisce J. Sandler (J. Sandler, 1977), la percezione dell’altro evoca una costellazione di immagini non gratificanti di una “non madre”, di un “non padre”, di una “non famiglia” che traducono l’incapacità di “assimilare” qualsiasi cosa, semplicemente perché tale cosa non esiste. Sono casi in cui il soggetto mostra un narcisismo patologico o un sadismo molto plateale, in quanto il forte senso di fallimento familiare ha determinato in lui un’unica rappresentazione mentale: “So-tutto-io”. Le sue azioni tendono a rendere sempre più visibile l’esperienza di solitudine e la nientificazione dell’altro in quanto “non esistente”.

In questi disegni sono tre gli affetti che emergono: rabbia, senso di vuoto e disperazione. La rabbia e la disperazione sono espressi dall’assenza totale dei colori, il senso di vuoto emerge invece dall’uso di linee rigide e ben definite, che hanno l’intento di circoscrivere un limite, ma producono come risultato figure che emanano un’esistenza scarna, arida e disincarnata.

Il bambino disagiato è, usando una metafora, un bambino nudo senza nido, è colui che si trova all’improvviso in una terra straniera e si scopre completamente privo del sostegno di qualsiasi sentimento vivo e familiare, rimanendone atterrito. È il bambino dai sentimenti più svariati in quanto è stato sdradicato, cacciato dalla sua normalità e scaraventato in una forzata crescita: non dovrebbe sorprendere che a tutto ciò possa reagire con paura ed ansia, ma soprattutto con rabbia e distruzione.

Bibliografia

Winnicott, D. W. (1986). Deprivation and delinquency (Tavistock: London-New York, 1984). Trad. it.: Il bambino deprivato. Le origini della tendenza antisociale (Cortina, Milano 1986).

Sandler, J. (1977). The patient and the analyst. The basis of the psychoanalytical process (Karnac: London, 1992). Trad. it.: Il paziente e l’analista. I fondamenti del processo psicoanalitico (Boringhieri, Torino 1977).

One Trackback

  1. […] (Continua a leggere su Ri-vivere.it) […]

Lascia un commento

La tua email non sarà mai pubblicata. I campi obbligatori sono contrassegnati da *

*
*