Gli eroi omicidi

È un paradosso che l’esistenza dell’uomo goda in certi casi di un destino particolare quando viene sottratta alle mani materne della natura e affidata alla madre umana.

Questa madre che gestisce il rapporto originario con il figlio ha il potere, tramite la sua lingua e i suoi valori, di formare e di determinare, in maniera estremamente profonda, lo sviluppo o la morte del bambino.

La posizione che la collettività assume nei confronti di madri che distruggono i figli è di un sottile atteggiamento di accettazione. È probabile che ciò sia dovuto soprattutto ai media che, quando espongono notizie su delitti come quelli di Cogne, Città di Castello o Casatenovo e sulla gente che accorre a vedere e rendersi conto de visu della situazione orrenda creata da famiglie in cerca di attenzione, non usano terminologie esatte, anzi confondono le idee pregiudicando una approfondita connessione di nessi.

Nel tentativo di elaborare un significato che possa rendere più chiara la situazione clinica di questi quadri patologici familiari è necessario, tramite equipaggiamento psicoanalitico, evidenziare alcuni punti.

Madri simbiotico-infantili adultizzate da un matrimonio conservano, all’interno di se stesse, un desiderio di distruggere ciò che appare un bene (un figlio, per esempio). Questo sentimento è irrazionale, ma esiste. Nella misura in cui tali madri non riconoscono questa primitiva dipendenza infantile, ne raddoppiano il valore e d’improvviso il loro desiderio di distruggere può diventare realtà.

È una situazione di escalation: più non si riconosce la realtà infantile in se stessi più diventa cattivo il desiderio verso il figlio, e più questo desiderio accresce la paura nella madre più essa stessa si lega a suo figlio, determinando la relazione simbiotica. Questa fusione duale della madre con il proprio figlio sviluppa nella madre stessa un circuito paranoideo che stabilisce una esperienza di profonda eguaglianza tra la sua identità e quella di suo figlio: “io piccola e infantile = mio figlio piccolo e infantile”. Una siffatta operazione dettata da un pensiero allucinatorio genera una situazione di conflitto e di confusione che può portare la madre a “giocare con violenza” con il proprio figlio.

Visi infantili i volti di queste madri a cui corrispondono menti infantili capaci di elicitare nei propri padri-mariti una difesa ostinata che accresce la terrificità del delitto della moglie. La scena primaria tra un marito che adora la moglie omicida di suo figlio porta a sentimenti assurdi e mostruosi anche nelle rispettive famiglie di appartenenza, che si chiudono intorno ai due “bevitori di sangue” proteggendoli. E il circuito paranoideo continua, perché ora è la collettività che protegge la famiglia “bevitrice di sangue” facendo gruppo in un tribunale.

Situazioni così paradossali sono da contagio emotivo e se siamo così difesi, amati per aver ucciso ed evidenziati in uno spettacolo costruito tutto per noi, narrati da bocche disincarnate e fredde che consideriamo esperti-padri, persino a noi verrà la voglia di uccidere.

Svegliatevi! Samuele è morto e nessuno più pensa a lui perché la madre – “eroina omicida” nell’immaginario collettivo – è ormai una star.

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