Ci sono ancora adulti?

Il ritratto dell'Infanta Margarita di Diego Velazquez (1653)

Il ritratto dell’Infanta Margarita di Diego Velazquez (1653)

Quando Georges Canguilhem, filosofo ed epistemologo francese, in una conferenza al “College philosophique” si chiedeva se ci fossero ancora adulti, ossia se esistesse uno stato della vita con caratteristiche di adultità, non plasmato da regressioni e conflitti infantili, indirettamente rifletteva e faceva riflettere sulla difficoltà dell’adulto di diventare maturo ed equilibrato ed in quanto tale riuscire ad essere un buon esempio nella vita dei propri figli.

In effetti forse divenire adulti non è dato a tutti. In un celebre passo Jung ci ricorda che:

“L’uomo che, tradendo la propria legge, non sviluppa la personalità, si è lasciato sfuggire il senso della propria vita. Fortunatamente la natura, benevola ed indulgente, alla maggior parte degli uomini non ha mai messo in bocca la fatale domanda sul senso della loro vita. E quando nessuno interroga, non occorre che qualcuno risponda” (C. G. Jung, 1991).

Ma come può un uomo siffatto educare suo figlio, e soprattutto essere veicolo essenziale della sua presa di coscienza? Ancora Jung:

“La coscienza […] si forma progressivamente e non nasce già bell’e pronta […]. Nel periodo che intercorre tra la nascita e il termine della fase della pubertà psichica […] ha luogo il massimo dello sviluppo della coscienza. […] la coscienza emerge dall’inconscio come una nuova isola dal mare. Questo processo noi lo favoriamo con l’educazione e la formazione scolastica dei bambini. La scuola non è nient’altro che un mezzo per favorire il processo di formazione della coscienza in modo appropriato. La cultura è quindi la massima consapevolezza possibile” (C. G. Jung, 1991).

Ma la comprensione della vita psichica infantile non avviene facilmente né tramite il genitore o la scuola, né persino nei più sofisticati ambiti culturali. Spesso i conflitti istintuali dell’anima infantile non sono capiti né curati e sempre meno sono le persone che partono dal presupposto che il nucleo più profondo della personalità in atto del bambino ha poco da fare con l’intelletto, molto invece con lo sviluppo del suo istinto.

E sempre Jung, con il suo distacco esemplare, dice agli educatori di Territet-Montreux riuniti in congresso nel 1923:

“Non attendetevi che io sia in grado di fornirvi una serie di consigli e suggerimenti immediatamente utilizzabili sul piano pratico. Quel che posso offrire è soltanto una più profonda comprensione delle leggi universali cui soggiace lo sviluppo psichico del bambino. Devo quindi accontentarmi di sperare che quanto dirò vi permetta di farvi un’idea della misteriosa genesi delle più alte facoltà umane. La grande responsabilità che vi compete in qualità di educatori della generazione futura vi preserverà dal trarre conclusioni affrettate” (C. G. Jung, 1991).

Prendendo spunto dal pensiero junghiano, cerchiamo ora di fare chiarezza sulla capacità di comprendere ed educare la vita istintuale del bambino che un adulto deve avere.

Sulla vita istintiva e sulle fantasie infantili

Freud ci ricorda che l’uomo è sottomesso a due forze fondamentalmente antagoniste, una chiamata libido (energia di vita) ed una in contrapposizione denominata destrudo (energia distruttiva). Egli sottolinea in più parti della sua opera che lo scopo finale dell’istinto distruttivo è quello di ricondurre la materia vivente allo stato inorganico, e per questo lo definisce “istinto di morte”, mentre la libido, con la sua tendenza all’unione, può neutralizzare l’istinto distruttivo, anzi può talora utilizzarne l’energia a suo profitto.

Questi due istinti sono presenti sin dalla nascita nel bambino, e i loro derivati, ossia i rappresentanti psichici manifesti degli istinti sia vitali che distruttivi, sono le fantasie. Una fantasia (traduzione del tedesco Phantasie e dell’inglese Phantasy che fu preferita a fantasma dai traduttori italiani delle Opere di Sigmund Freud) designa sempre l’immaginazione, il mondo immaginario ed i suoi contenuti e come tale appare in un rapporto molto più intimo con l’inconscio e con i desideri pulsionali, o con i sentimenti: desideri, paure, angosce, amore, dolore, tutti stati che dominano la mente del bambino in un dato momento della sua vita.

Susan Isaacs (S. Isaacs, 1985) ci ricorda che le fantasie primarie, rappresentanti manifeste dei più precoci impulsi di desiderio e di aggressività, emergono in età precoce e col tempo diventano sempre più manifeste e che un adulto può notarle quando il bambino gioca in un certo modo, attua un certo rituale, ha successo o fallisce in una certa prestazione, parla in un certo modo, dice una certa cosa, richiede o rifiuta una particolare gratificazione, quando disegna e colora ciò che vede, e così via.

Le fantasie distruttive del bambino e la cecità adulta

Spesso la cecità affettiva e la non-conoscenza di molti genitori ed educatori, le loro amnesie per i fatti da loro stessi vissuti nell’infanzia, la diffidenza contro il rigore del determinismo psichico, influiscono grandemente nel rimuovere e nel negare la realtà della vita istintiva infantile e la conseguente necessità di un’educazione. Per conoscere l’attività della fantasia del bambino un adulto ha a disposizione non soltanto l’osservazione del comportamento nella realtà quotidiana, ma anche tutte le possibilità offerte dall’uso diretto del metodo psicoanalitico.

L’esperienza analitica diretta ci consente di gettare uno sguardo nelle fantasie del bambino e formulare alcune ipotesi sul tipo di pulsione collegata ad essa. In altri termini diremo che una “fantasia rappresenta il particolare contenuto di spinte istintuali o sentimenti (ad esempio: desideri, paure, angosce, trionfi, amore e dolore) che dominano la mente del bambino in quel momento” (S. Isaacs, 2007). Da qui si deduce che le spinte istintuali collegate alle fantasie possono essere di vita o distruttive. Queste ultime se identificate in tempo e curate non daranno origine ad una serie di fenomeni deviati: le “cattive abitudini” che per Heinrich Meng col tempo si manifestano sotto forma di cattiva volontà del bambino.

Le fantasie distruttive collegate alle cattive abitudini possono avere origine da sentimenti di paura ed isolamento da una parte o da sentimenti di eccitazione ed aggressività dall’altra: in base alla provenienza avremo diversi modi di comportarsi del bambino.

Alcune delle cattive abitudini legate a fantasie di paura e di isolamento possono presentarsi come:

  • un incessante e morboso bisogno dell’oggetto;
  • scarsa tolleranza per la minima frustrazione;
  • desideri morbosi simili al succhiare insistente;
  • eccessivo attaccamento agli altri;
  • difficoltà nel rimanere da soli, anche per poco tempo;
  • impazienza costante;
  • desiderio continuo di ricevere ogni cosa (morbosità patologica);
  • comportamento distante, sospettoso e distaccato, chiuso in se stesso;
  • continuo desiderio di stimolazioni;
  • eccessiva richiesta di contatto con la madre o con la maestra (comportamento simbiotico);
  • eccessivo isolamento e timidezza eccessiva;
  • pianto eccessivo nella separazione dalla madre, maestra, amichetto;
  • ritardo nel linguaggio;
  • sentimenti di impotenza verso gli amici;
  • segni di ritiro: rifiuto dei giochi, perdita del giocattolo;
  • noia, tristezza, scoraggiamento verso la scuola;
  • dipendenza eccessiva dal voto, dallo studio, dalla televisione, dagli oggetti;
  • segni di fobie: paura degli animali, paura degli oggetti, paura di certe situazioni, paura degli elementi naturali;
  • fobia della scuola;
  • disturbi funzionali: difficoltà ad addormentarsi, lagnanze di natura ipocondriaca (mal di pancia, mal di testa), perdita dell’appetito, eccessiva richiesta di cibo.

Nei disegni le stesse fantasie distruttive legate all’isolamento e alla paura si presentano rispettando in pieno i tratti di introversione (cfr. il post “Introversi ed estroversi“).

Una bambina di quattro anni, che qui chiameremo Felicia, disegna la sua famiglia trasformata. Il disegno è posizionato nella parte sinistra del foglio e le figure sono piccole, quasi impercettibili e non colorate, con tratti di indifferenziazione (tutti i membri della famiglia sono trasformati in asinelli) e tratti leggeri e filiformi (i membri sono disegnati con tracciato lento). La madre ci dice che la piccola Felicia è timida e a scuola rifiuta i giochi e gli amici.

Felicia, 4 anni, disegna la sua famiglia trasformandola.

Un bambino di sei anni, che qui chiameremo Aldo, nel disegno degli amici mostra molta chiusura ed isolamento. Disegna anche lui sulla parte sinistra del foglio ed usa rappresentare i suoi amici sotto forma di figure fil-di-ferro, ossia annichilite, senza pelle né spessore emozionale. La madre riferisce che a scuola l’insegnante è fortemente preoccupata per l’eccessiva chiusura del bambino, soprattutto verso gli altri.

Aldo, 6 anni, disegna i suoi amici.

Un’altra bambina di otto anni, che invece chiameremo Terry, nel disegnare quello che lei con la sua fantasia immagina all’interno del corpo umano raffigura solo un cuoricino ed un cervello e dice con calma che non li può colorare, perché “non sente venir fuori niente di bello”. Terry è, sia nell’ambito familiare che in quello scolastico, una bimba chiusa, con innumerevoli fobie.

Terry, 8 anni, disegna su una sagoma di corpo umano predisegnata.

Una ragazza di dodici anni, a cui daremo il nome di Elena, esprime nel disegno la sua tensione: ha solo un’amica e si sente rifiutata dal gruppo scolastico, al punto tale che spesso nei suoi temi esprime l’idea che gli amici si aspettano che lei muoia.

Elena, 12 anni, disegna i suoi amici.

Passiamo ora alle cattive abitudini legate a fantasie di eccitazione e di aggressività alcune delle quali possono manifestarsi sotto forma di:

  • rottura immediata del giocattolo tanto desiderato;
  • tendenza alla coprolalia, ossia, gioia nel pronunciare oscenità;
  • invidia morbosa verso i fratellini e compagni di scuola;
  • avidità vissuta come desiderio di possedere tutte le cose buone di cui si ha bisogno;
  • scontentezza e sofferenza soprattutto nel non poter realizzare il desiderio;
  • occhi penetranti che sembrano registrare incessantemente paragoni;
  • aggressività gratuita verso un compagno di giochi;
  • rabbia ed invidia verso l’altro sesso;
  • gelosia molto forte verso il fratellino o la sorellina appena nati;
  • irrequietezza e tendenza a muoversi in continuazione.

Le fantasie di eccitazione e di aggressività nei disegni si manifestano rispettando i tratti di estroversione (cfr. ancora il post “Introversi ed estroversi“).

Rino, sei anni, è incapace di stare fermo a scuola, nel disegno della famiglia trasformata raffigura la stessa fantasia che spesso vive nella sua realtà familiare: una forte aggressività verso la sorella appena nata. Nel disegno trasforma la sorellina in un topolino e la posiziona sotto la gomma della sua macchina. Nello stesso disegno notiamo l’eccitazione usata nella scelta dei colori che ci avverte sul tenore sadico delle sue fantasie.

Rino, 6 anni, disegna la sua famiglia trasformandola.

Anche Elisa ha sei anni e disegna la figura femminile con un tratto annerito molto intenso: nella realtà Elisa ha forti moti aggressivi verso la madre ed un comportamento simbiotico con il padre che ritiene essere il suo salvatore.

Elisa, 6 anni, disegna una figura femminile.

Abbiamo chiamato Gianfranco un ragazzo di dodici anni, che nel disegnare i suoi insegnanti vuole innanzitutto strappare il foglio, ossia vuole deformare l’ambiente su cui andrà a disegnare i suoi insegnanti usando modalità bizzarre.

Gianfranco, 12 anni, disegna i suoi insegnanti.

Colui che chiamiamo Carlo, otto anni, immagina l’interno del corpo disegnando parti nere, facendo uscire i serpenti dalla testa che definisce i suoi pensieri neri, disegna il volto ma poi lo cancella ed ad un certo punto scrive “divora dal di dentro”. Carlo è un bambino fortemente aggressivo nel sociale e spesso distrugge i fogli del quaderno su cui scrive.

Carlo, 8 anni, disegna su una sagoma di corpo umano predisegnata.

Come si educano le fantasie distruttive nel bambino?

Diversi sono gli stili educativi che un genitore o un educatore può adoperare.

In quello che potremmo definire come “educazione come sottomissione” il bambino viene più che altro addomesticato invece che educato e mediante “meritate” punizioni e rare gratificazioni – talvolta riceverà una caramella, talvolta perfino una carota – reso vero e proprio animale domestico. L’adulto, in questo caso, ritiene che educare significhi realizzare una più o meno rigida sottomissione del bambino all’imperativo categorico paterno o materno: questi genitori hanno la profonda convinzione che la loro autorità debba necessariamente essere fondata sul castigo e i loro bambini spesso finiscono per arrivare a non credere alla presenza reale dei genitori soltanto nel momento stesso in cui ne ottengono una punizione.

Esiste poi una “educazione come apparenza”: in questo caso si considera il bambino un po’ come nei quadri del grande artista spagnolo Velázquez che disegna bambini che sono, a giudicare dal loro atteggiamento e dal loro modo di vestire, in realtà persone grandi di piccola statura (H. Meng, 1949). Prevale un modo esteriore di considerare il bambino, senza tener conto del suo mondo interiore! Il bambino come miniatura è il risultato della deformazione degli adulti che usano questo stile: essi infatti tendono perlopiù ad ignorare desideri e diritti del piccolo, viceversa sono sempre prontissimi a prendere maledettamente sul serio certe sue espressioni proprio come se avessero di fronte un adulto: è quanto meno bizzarro che “il bambino che non dice la verità viene chiamato bugiardo” (H. Meng, 1949) o che il bambino in un moto aggressivo verso il padre o la madre li spaventi a morte con un tale sacrilegio, come fosse un funesto presagio per il suo futuro carattere.

Infine “educazione come attitudine” è lo stile tipico della persona che si può definire a buon diritto adulta, che si sforza di comprendere che non un legame di comando ma solo un legame affettivo è in grado di unirla autenticamente al proprio figlio. Chi usa questo stile sa che il bambino ha la sua vita impulsiva che cresce imperfetta e che per educarla deve permettergli il libero corso dei suoi moti interiori “cattivi” o contrastanti tramite la realizzazione delle proprie fantasie, nei giochi, nei disegni, nell’immaginazione.

Vero educatore è, in definitiva, solo colui che prende sul serio l’infanzia del bambino e non desta mai in lui, col disprezzo, l’ironia e il dubbio, sentimenti di ostinazione e di sfiducia.

“L’educazione psicoanalitica, che si basa sulle concezioni freudiane, pone l’accento sull’educazione degli istinti, adattata al mondo interno ed esterno del singolo individuo”, pertanto “L’educatore orientato psicoanaliticamente sa che la personalità spirituale la quale cresce a poco a poco nel bambino soffre per il contrasto delle più svariate tendenze impulsive. Egli si sforza di aiutare la formazione della coscienza nel bambino, è responsabile della facoltà di rimuovere e sublimare evitando la malattia” (H. Meng, 1949).

A chi voglia assolvere alla funzione dell’educatore, Jung sottolinea la primaria esigenza di essere cosciente del rispetto dovuto alla dimensione interiore della fantasia: quello che nella realtà succede è che la vita istintiva del bambino è di regola lasciata a sé stessa, soprattutto da quei genitori, che tramite un’inconscia menzogna, inventano ogni tipo di ostacolo (prendendo a prestito come al solito il lavoro, lo stress, etc.), per non far crescere ciò che essi stessi hanno creato.

Riferimenti bibliografici

Jung, C. G. (1991). Über die Entwicklung der Persönlichkeit (Olten: Walter-Verlag, 1972). Trad. it.: Lo sviluppo della personalità (Bollati Boringhieri, Torino 1991).

Isaacs, S. (1985). The Nature and Function of Phantasy. Trad. it. (parziale): Il metodo osservativo e il metodo psicoanalitico, in L’osservazione diretta del bambino (Bollati Boringhieri, Torino 1985).

Isaacs, S. (2007). The Nature and Function of Phantasy, in The International Journal of Psycho-Analysis (1948). Trad. it.: Natura e funzione della fantasia, in Fantasia inconscia. L’organizzazione mentale precoce secondo Susan Isaacs (Il Pensiero Scientifico Editore, Roma 2007).

Federn, P – Meng, H (1949). Psychoanalitische Wolksbuch (Bern: Hans Huber, 1939). Trad. it.: Enciclopedia Psicoanalitica Popolare (Astrolabio, Roma 1949).

Avvertenza

È indispensabile sottolineare che per questi e altri casi esposti, i disegni sono test psicodiagnostici che consentono solo un orientamento alla diagnosi, e non la diagnosi stessa.

Lascia un commento

La tua email non sarà mai pubblicata. I campi obbligatori sono contrassegnati da *

*
*