Ben arrivato, fratellino tanto odiato!

Illustrazione: sagoma di madre con figli su sfondo arancio

Madre con figli

Charles Baudouin ha dedicato alla rivalità fraterna, che definisce come “complesso di Caino”, diversi capitoli de “L’anima infantile e la psicoanalisi”.

Il complesso di Caino è il conflitto tra fratelli e sorelle in cui confluiscono tensioni sia connesse all’affermazione di potenza e superiorità sia legate alla spartizione dell’amore materno, che resta pur sempre il punto fondamentale della rivalità.

L’esperienza psicoanalitica ci offre molti esempi di sentimenti filiali edipici nei bambini e mette in evidenza che se negli stessi si manifesta un’inibizione affettiva – grazie ad una forte censura dell’Io che blocca l’espressione della rivalità fraterna – le conseguenze potrebbero essere patologiche: la rivalità fraterna cessa di manifestarsi sotto il suo aspetto primitivo di aggressività, continuando in modalità più latente ad esercitare effetti nefasti sullo sviluppo affettivo e intellettuale. Nulla è più pericoloso per il formarsi della personalità infantile del “bloccaggio emozionale” con il quale si pretende di limitare il bambino, costringendolo entro rigide norme di adattamento, in un ruolo imposto, con il rischio di isterilire tutte le possibilità creatrici che porta in sé.

L’espressione aggressiva di un sentimento di rivalità fraterna ha una funzione utile nel bambino in quanto manifestazione di espansione vitale: fa quindi parte di una sana pedagogia non gettare un interdetto puro e semplice sulle sue manifestazioni.

Tutti sanno che fratelli e sorelle litigano spesso e picchiandosi risolvono ogni loro difficoltà e disaccordo.

Nei bambini piccoli, verso i due-tre anni, nello stadio sadico proprio a causa della forza determinante delle pulsioni aggressive (sadico-orale e sadico-anale), detto anche stadio motorio impulsivo, il bambino reagisce ad ogni situazione di contrarietà con delle esplosioni di brutalità e si manifesta un tipo di aggressività che L. Corman definisce come rivalità corpo a corpo. In questa fase il bambino:

  • morde il rivale (sadismo orale);
  • gli sputa in faccia o gli tira addosso delle cose sporche (sadismo anale);
  • lo prende a pugni e a calci, gli tira i capelli, lo spinge per farlo cadere e così via.

Lucia, 4 anni, disegna la sua famiglia trasformandola

In stadi più avanzati in cui la motricità è controllata, l’impulsività fa posto ad un tipo di lotta nella quale i colpi sono premeditati e la forza bruta cede il passo al calcolo e alla furberia. In questa fase può accadere che l’aggressività si accumuli in una tensione crescente che rischia di sfogarsi in reazioni di scarico davvero pericolose.

In quasi tutti i casi la rivalità fraterna si basa sulla “legge del più forte” e gli stessi rapporti di forza tra rivali hanno naturalmente un ruolo determinante: il più forte può imporsi senza eccedere in brutalità, dosando i suoi colpi, il più debole invece o si abbandonerà a una violenza cieca che è addirittura il segno della sua debolezza, oppure farà uso di condotte indirette, con colpi inaspettati, prendendo in giro o disturbando i giochi degli altri. Il più forte si assicura questo controllo con la semplice forza fisica oppure con l’autorità del suo carattere: è spesso il caso dei fratelli maggiori.

Piero, 11 anni, disegna la sua famiglia trasformandola

Il più debole, per esempio il “beniamino di casa”, non ci mette molto a scoprire il trucco che consiste nel “far uscire dai gangheri” il più forte prendendolo in giro e, quando si è fatto picchiare un po’, piange e urla per chiamare in aiuto i genitori, sostenendo così la propria debolezza con la forza dei potenti.

La rivalità corpo a corpo conserva quasi sempre qualcosa di “fraterno”: vediamo spesso fratelli e sorelle, dopo essersi battuti, ridiventare amici e unirsi daccapo per giocare. “Non fanno altro che litigare – dicono un’infinità di genitori – ma sono inseparabili”.

La rivalità di rifiuto, sottolinea L. Corman, si presenta in modo completamente diverso. Qui non c’è il corpo a corpo, bensì una rottura di contatti con il fratello-rivale (ma anche con altri) che rifiuta di accettare. Nel gioco, per esempio, il rivale che non si accetta viene eliminato: “Vattene via! Non ti vogliamo!”.

Non c’è situazione più angosciosa per il bambino (e molto spesso anche per l’adulto!) che l’essere escluso, rifiutato da un gruppo o dalla famiglia, poiché questo implica la rottura degli scambi affettivi indispensabili alla vita, giungendo, nei casi più gravi, a significare un pericolo di morte.

Per colui che sentenzia l’esclusione, il rifiuto rappresenta la rottura di ogni legame affettivo con il rivale: è, in qualche modo, la negazione del suo diritto di esistere.

Quando compare il linguaggio, nello stadio della motricità controllata – tra i due anni e mezzo e i tre anni d’età – la rivalità si esprime tramite l’aggressività verbalizzata con ingiurie, minacce, parole d’odio che a volte accompagnano i gesti ostili per aumentarne l’efficacia e a volte li sostituiscono.

Antonio, 15 anni, disegna la sua famiglia trasformandola

Alcune madri, riferisce L. Corman, nel parlare al figlio del probabile arrivo di un fratellino che egli già non accetta, sentono espressioni come “Lo affogherò”, oppure – è il caso del piccolo Jean-Paul – “Sì! Nella spazzatura”. Un bambino di 5 anni, molto arrabbiato contro la sorellina cui pure vuole molto bene, diceva un giorno: “Voglio che Ziquette va alla guerra e che la uccidono!”. E una bambinetta di 4 anni, cui spiegavano che il neonato sarebbe cresciuto, rispose selvaggiamente: “Non crescerà mai, perché lo ucciderò”.

Giovanna, 15 anni, disegna la sua famiglia trasformandola

Il rifiuto può utilizzare forme più sottili. Accanto alle espressioni brutali come “Vattene! Non ti vogliamo!”, bambini disegnano il fratellino identificandolo come lo “scemo” o il “matto”, il “mostro” o perfino un “coso rosso, che grida e puzza”.

Ivana, 10 anni, disegna la sua famiglia trasformandola

Accanto a queste ingiurie molteplici e colorate esistono formule ancora più attenuate. Un bambino, riferisce ancora L. Corman, esprime apertamente la propria ostilità nei confronti del nuovo nato dicendo: “guarda, non ha i piedi”. Una bambina diceva ai suoi genitori “perché avete comprato quel coso lì?”, dove ‘quel coso lì’ aveva un chiaro significato spregiativo. Un’altra bambina, figlia unica fino a 6 anni, selvaggiamente ostile al fratellino appena nato, l’aveva soprannominato “un bel niente”. E un ragazzino aveva ribattezzato i tre fratellini “zero, zero e zero”. Un’altra, molto gelosa del fratellino, diceva: “È il bigliettaio dell’autobus che gliel’ha dato alla mamma; anche se papà non voleva e io neppure!”.

Maria, 11 anni, disegna la sua famiglia trasformandola

Ancor più raffinati quei rifiuti che assumono l’aspetto di una critica morale. Così, per esempio, continua L. Corman, un ragazzo grande non osa picchiare il fratellino Andrea, ma lo sgrida, dicendogli in tono severo: “Sei cattivo, Andrea, sei proprio cattivo!”, e il piccolo impallidisce a questo verdetto, si agita e ripete, disperato: “No, non cattivo io, non cattivo io!”.

La psicoanalisi ha dimostrato il duplice aspetto della relazione fraterna, insieme di rivalità aggressiva e desiderio di unione con il rivale: questa è una delle più attendibili conclusioni cliniche in quanto – come sottolinea A. Freud – “all’inizio della vita nei rapporti oggettuali del bambino, gli elementi erotici e distruttivi si mescolano in modo quasi inestricabile, a tal punto che, nei casi individuali, è difficile distinguere il ruolo specifico sostenuto da ognuno degli istinti di base”. Anche l’evoluzione stessa della relazione fraterna lo dimostra: i due istinti di aggressività e di amore, già per il fatto di avere uno stesso oggetto, il rivale, poco a poco si temperano a vicenda, assumendo forme meno violente e più compatibili con la vita sociale. Questo processo tende a realizzarsi spontaneamente attraverso un gioco progressivo di forze naturali e mediante l’azione educativa dei genitori, sempre che essa consista in un giusto dosaggio di permessi e divieti.

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